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L'audacia ha in sè genio, potere e magia.
Cominciala adesso.

W. Goethe


Chi lavora con le sue mani è un lavoratore.
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Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un'artista.

San Francesco d'Assisi

martedì 19 gennaio 2010

Il bambino non è un elettrodomestico. Gli affetti che contano per crescere, curare, educare di Giuliana Mieli




Giuliana Mieli (laureata in Filosofia e psicologia clinica, dopo aver lavorato negli anni Settanta nei primi centri di salute mentale, è stata consulente per vent’anni dell’Ospedale San Gerardo di Monza), nel suo libro sostiene che la nostra società ignora e trascura gli affetti. In particolare quello che ruota intorno alla gravidanza, alla nascita, alla maternità, ai primi anni di vita dei figli.

Il racconto prende spunto dall’esperienza lavorativa dell’autrice come consulente presso il reparto di ostetricia del San Gerardo.

Dalla sua esperienza è emerso che troppo spesso nei corsi di preparazione al parto, nella gestione del travaglio, del parto, del puerperio, ma più in generale della salute dell’individuo, viene trascurato il rispetto dei bisogni affettivi di base, che invece dovrebbero essere ispirazione per una trasformazione della vita sociale e della cultura che sia in armonia con la natura dell’uomo.

L’autrice descrive l’esperienza emotiva della gravidanza e del parto dal punto di vista della madre, del bambino e del padre. Fa accenno al ruolo del dolore nel parto, che, se compreso e spiegato durante i corsi preparto, aiuterebbe le donne ad affrontarlo con maggior serenità senza ricorrere in maniera inconsapevole all’analgesia. Il dolore del parto ha un profondo significato emotivo che accompagna un passaggio cruciale: la separazione fisica del bambino dalla madre.

Parla della necessità, durante il puerperio, di ricostituire la fusionalità tra madre e bambino al fine di creare quella base sicura, attraverso cure rispettose delle reali esigenze del bambino, che permetterà al bambino un lento cammino verso l’autonomia.
La Mieli scrive: “ … la diffusa disattenzione e ignoranza sui bisogni del piccolo umano, che permette e giustifica atteggiamenti impropri, inadeguati, spesso non intenzionali,ma ugualmente deleteri, perché non permettono la costruzione di una fiducia e la conseguente capacità di esplorazione e sviluppo. Senza una base sicura non si può crescere, non si può diventare pienamente adulti: ma i genitori sono completamente disinformati delle cure di cui necessita un bambino. Bowly tristemente osserva come nella nostra società l’ignoranza diffusa sulla natura dei bisogni affettivi diffonda una insufficienza cronica di cure adeguate,nella convinzione che non si possa fare diversamente, e che vada bene così”.

E’ sta proprio questa “non conoscenza “ che ha spinto l’autrice, quando per la prima volta entrò in contatto con il mondo nuovo della maternità, a trovare una strada che le permettesse di trasmettere e utilizzare la conoscenza e l’esperienza derivante da anni di studi in psichiatria dove aveva potuto toccare con mano i tragici effetti di educazioni sbagliate, in modo da farne un efficace mezzo di cura e prevenzione.

La Mieli sostiene la necessità di una rivoluzione culturale che permetta il passaggio da una società basata sulla negazione degli affetti a una società che renda gli affetti centrali. A questo proposito scrive: “E’ necessario un cambiamento non solo per evitare la distruzione definitiva dell’ambiente terrestre, ma anche e soprattutto per uscire dalla miseria psichica e morale delgi essere umani contemporanei. L’inversione di rotta si profila come la “riscoperta della vera ricchezza nel dispiegamento delle relazioni sociali conviviali all’interno di un mondo sano”.

L’ultimo capitolo è dedicato a snocciolare i modi per uscire dalla medicalizzazione della nascita e a illustrare la funzione della psicologia in maternità.

La gravidanza”, scrive la Mieli, “è fra i tanti mutamenti della vita, quello forse più marcato da un’intensa pregnanza affettiva: è infatti un passaggio centrale dell’esistenza, che segna, sia per l’uomo che per la donna, la fine di un’epoca, quella in cui si è stati figli, e connota attraverso l’evento biologico della maternità, sia fisicamente che emotivamente, il passaggio alla responsabilità genitoriale. (…)
Una cultura meno affrettata e superficiale della nostra saprebbe celebrare con una coralità più partecipe i passaggi della vita e accompagnare con un’adeguata condivisione emotiva il turbamento insito in questo passaggio.Si tratta infatti di un turbamento fisiologico che contiene, come tutti i cambiamenti, l’ambivalenza del divenire, la gioia del nuovo e la perdita del vecchio, con quel misto di curiosità e nostalgia, di desiderio e di malinconia che caratterizza lo stesso venire al mondo, l’osare e il ritirarsi, lo sporgersi e il rinculare timorosi: non segno di una patologia, ma modalità fisiologica con cui procede il cammino faticoso dell’esistere, e in cui la sicurezza del noto diventa strumento prezioso per interpretare e affrontare il nuovo che ci si appresa a vivere.”

Continua così: ” Ci si è dimenticati del fisiologico e naturale benessere della gravidanza e la si è infarcita di esami e controlli che dovrebbero fungere da garanzia di successo. I percorsi di gravidanza affidati esclusivamente all’ostetrica, come sarebbe più naturale, fanno fatica a decollare a causa di una marcata sfiducia nella naturalità della vita e dei suoi eventi; inoltre la dilagante immaturità affettiva che caratterizza l’utenza la spinge a cercare fuori di sé garanzie, non avendo potuto costruire una qualche fiducia in sé e nelle proprie capacità biologico-affettive.

L'esperienza in campo psichiatrico e psicologico, lfa chiedere alla Mieli se “il presentarsi sempre più frequente di disturbi legati alla depressione non sia dovuto a vissuti personali repressi e trascurati e non rilevati durante la gravidanza e a motivazioni più apertamente sociali quali l’isolamento, la solitudine, la sospensione dell’attività lavorativa con la conseguente perdita di riferimenti e di contatti, il misurarsi con la propria identità e maturità al di fuori dei supporti offerti dalla professione e dal ruolo sociale. In realtà tutti i disturbi della maternità, qualunque sintomo scelgano per palesarsi, emergono sempre da storie antiche di dolore e solitudine, storie di bambine trascurate o non corretamente amate, sensibili, che si trovano sole di fronte a un’avventura della vita che tanto desiderano ma che le spaventa, perché in qualche modo e in qualche recondita parte di sé covano la sfiducia di essere adatte per affrontarla. Dietro al senso di inadeguatezza si annida sempre una storia di solitudine, di assenza di cure. (…) Se poi a queste motivazioni psicologiche personali si aggiunge una solitudine attuale, una incomprensione di coppia, il confronto con la fatica e la totale dedizione al bambino in assenza di aiuti e di rapporti - in una società che fa poco o niente a favore della maternità e si preoccupa esclusivamente di creare luoghi dove i bambini possano essere precocemente parcheggiati per consentire alla mamma di riprendere il lavoro quanto prima – allora è facile che la vergogna di sentirsi poco capace ed efficiente, come invece il sistema pretende e richiede, faccia sprofondare nello sconforto e ci si colpevolizzi perché i propri tempi di naura, fisici ed emotivi, non riescono a star dietro ai tempi della vita così come ci vengono imposti da una società completamente sorda alle esigenze dell’affettività.” La sua riflessione si riallaccia a quella di Galimberi nel suo libro “I miti del nostro tempo” (vedi post del )

Conclude così: “Se non ci curiamo adeguatamente dei bambini, avremo adulti insicuri e infelici. La società risponde con la protesi tecnologica, per partorie, per non soffrire, per avere figli artificialemtene: ma la protesi tecnologica non risponde ai perché, non aiuta a crescere, maschera dietro ad un apparente successo le insicurezze che lo hanno attraversato. E ciò che è mancato, l’ascolto, il tempo, la passione, la dedizione, continueranno a mancare perché nessuno si è accorto che era di questo che c’era bisogno; la sofferenza viene tacitata e nascosta invece di diventare, compresa, l’unico strumento adeguato per cambiare.

L’evoluzione della società e l’aumentata sensibilità ci costringeranno a fare i conti prima o poi con l’entità dei danni legati a cure effettive inadeguate e ci convinceranno che, solo garantendo un consapevole maggior rispetto dei bisogni affettivi, è possibile pensare a un futuro in cui procreare rappresenti veramente il piacere di trasmettere ai propri figli la vita insieme a quella qualità dell’amore, che, unica, la rende affascinante, godibile, preziosa. Ciò significa garantire da un lato una diversa possibilità di conoscenza e quindi di presenza, assistenza, dedizione ai propri figli da parte di entrambi i genitori, e dall’altro la diffusione della consapevolezza di una responsabilità affettiva fra i componenti della società che percorra tutti i ruoli, l’insegnamento, le professioni, gli scambi commerciali, la politica, in modo che vivere diventi lo sforzo comune di tutti, nella disponibilità affettiva e nella cooperazione, per realizzare quelle caratteristiche sociali che l’evoluzione della specie appare aver selezionato nel tempo a garanzia del mantenimento e del miglioramento dell’esistenza.

2 commenti:

  1. Non avevo mai letto un libro così bello!!!
    Complimenti all'autrice che sa accompagnarci per mano, e con un linguaggio semplice, nel percorso per ritrovare gli affetti che contano!

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  2. Ciao Francesca, è un libro bellissimo che tutte le mamme in attesa dovrebbero leggere.....ma non solo anche tutti gli operatori sanitari ed educatori....non credi?

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